Un quadro fra tanti

Gli elementi pittorici che caratterizzano la scuola veneziana sono a luce, il colore, l’aria, lo spazio... Si tratta di una pittura pregna di  sensazioni – così è stata definita – in contrapposizione a quella intellettuale fiorentina. Da questi principi partì Giorgione per formare il proprio  stile, con tali e tante innovazioni che la critica lo considera oggi come il primo pittore moderno.
Fu il primo che si dedicò, principalmente,  a temi laici e a laicizzare quelli religiosi, dando alle sue pitture un senso più umano e panteista.
Dai suoi maestri, il Giambellino e Carpaccio, ricava la intimistica analisi della luce che diventa l’indifferenza per il ‘finito’ è l’espressione d’uno stato d’animo contemplativo, sensuale e musicale.
I contorni svaniscono, sommersi nella penombra diffusa (come nelle opere di Manet e degli impressionisti, nel secolo XIX).
Già padrone del suo stile, Giorgione dipinge “La tempesta”.
Quest’opera d’arte divide i critici che pur assicurando che si tratta di un vero capolavoro non sanno interpretarla in senso univoco.
Questo per restare nell’ambito della leggenda di Giorgione senza contorni.

Per qualcuno, forse, rappresenta l’infanzia di Paride, oppure la ninfa che allatta Epafo, sotto lo sguardo di Mercurio, o, ancora,  il ritrovamento di Mosè, o forse simbolizza la nascita illegittima dello stesso pittore.
La maggior parte dei critici ha risolto il rompicapo chiamandola semplicemente “La Zingara e il Soldato”, o meglio, “La Tempesta”, dato che in realtà il tema è la natura e i personaggi sono solamente degli elementi secondari tanto che l'analisi ai raggi X ha rivelato che, in un primo momento, invece del soldato, Giorgione aveva dipinto un’altra donna nuda, anch’essa seduta, sulla riva opposta del ruscello.



Piccoli  gioielli di enorme valore.
Monumenti che meritano una passaggiata notturna o una giornata strappata alla routine.
Da affrontare con il cuore e la mente aperte ad esperienza uniche quasi mistiche, certo curiose...
La scala Contarini detta del Bovolo.
La Cattedrale dei Santi MariaDonato a Murano, la Tempesta del Giorgione all'Accademia, la chiesa di San Pietro di Castello, il mercato di Rialto...






Il fenomeno Giorgione
Giorgione è un fenomeno. Di lui, della sua storia si sa ben poco. E quello che si sa pare incerto e ammatato da leggenda. Eppure si tratta di un personaggio della cultura mondiale di grande fama. Fama che non raggiunse post mortem. Ma, ad esempio, delle sue opere tra cui nessuna è firmata, si sa che alcune furono terminate da Tiziano, e molte furono falsificate nel XVII secolo.
Perciò dal suo curriculum risulta: incerto l’anno di nascita (1477 o 1478), incompleto il suo nome, incerto il luogo di nascita (forse Castelfranco Veneto), discutibili le sue opere e il loro significato, controversa la causa di morte (non si sa se morì di peste o d’amore), nel 1510. Totalmente sconosciuti sono anche i suoi genitori.
Si trova traccia di lui a Venezia nel 1500; la città è piena d’artisti famosi. Giovanni Bellini, chiamato il Giambellino, che era considerato il capo incontrastato di tutta la pittura veneta, il Carpaccio, che aveva appena terminato la sua opera nella Scuola degli Schiavoni, Cima da Conegliano, famoso per le sue serene Madonne, Mantegna, che continuava il classicismo d’Antonello da Messina, e Bastiani, Buonconsiglio, Diana e molti altri ancora.











Tra i giovani emergenti si mettevano già in evidenza i talenti come Lorenzo Lotto, Tiziano, Sebastiano del Piombo, e gli stranieri, come Alberto Dürer impegnato nel dipindere quel “Madonna delle rose” che fu trasportato da Venezia a Praga da una staffetta a piedi per evitare scossoni.
Giorgione aveva la passione “per la pittura, per la musica e per l’amore…” - come affermano le cronache - divenne l’artista più conteso dei salotti della nobiltà veneziana, perché sapeva combinare il ‘genio’ degli affari con l’amore per le cose belle, preferiva un umanesimo di ragionamenti e discussioni eleganti sul gusto, invece delle teorie estetiche, religiose, filosofiche e le ricerche scientifiche degli umanisti romani e fiorentini.
Il Salotto più ambito era nel castello di Caterina Cornaro, ex-regina di Cipro, e poeti, poetesse, astronomi, astrologi ed antiquari trovavano un ambiente propizio per divenire personaggi delle rime amorose del Bembo. Era una società spensierata, però attenta ai valori dello spirito, che amava la musica e si circondava dei suoi quadri del Giorgione.


Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista

Un bellissimo portale introduce alla Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, la più rappresentativa istituzione laica veneziana.
Tra le più antiche (la fondazione della scuola risale al 1261) e tra le più note – almeno da quando il Guardian Grande della Confraternita, Andrea Vendramin, ricevette dai massimi funzionari ciproti, la Reliquia della Croce pervenuta dal patriarca di Costantinopoli.

Questa donazione ha dato alla confraternita il prestigio ed una fama prima sconosciute. tanto da spingere alla creazione di  un edificio all’altezza del tesoro contenuto: tante tra le maggiori opere d’arte che Venezia conserva, furono dedicate a questa Croce.
La sala alle Gallerie dell’Accademia che le ospita lascia ne è riprova:  Processione della Croce in Piazza S.MarcoIl miracolo della Croce al Ponte di S. Lorenzo, entrambe di Bellini  ed  Il miracolo della Reliquia della Croce di Vittore  Carpaccio, ne sono un esempio.

Palazzo Mocenigo: le vesti del potere
Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, fino al 30 aprile 2005 presso il museo di Palazzo Mocenigo - Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, presenta la mostra:
Le vesti del potere,
 organizzata dai Musei Civici Veneziani nell’ambito della rassegna Eleganze Venete e promossa dalla Regione Veneto.
La mostra è curata da Paola Chiapperino e Doretta Davanzo Poli


È proposta una ricca selezione di delicati e preziosi cimeli collegati alla rappresentazione del potere politico e sociale nella Repubblica di Venezia, con particolare riferimento al costume.
La mostra presenta un centinaio tra capi d’abbigliamento, tessuti e merletti oltre a dipinti e incisioni.
Alcune delle preziose incisioni cinquecentesche presentate in Mostra possono documentare il fasto e il significato dei costumi dogali.
Tra i capi più significativi una toga senatoriale di damasco del  XVIII secolo, completa di stola di velluto rosso e cremisi, un corno dogale completo di camauro (la cuffietta di batista di lino portata sotto il simbolico copricapo), un paliotto del sec. XV-XVI secolo,  un piviale del sec. XVI, oltre ad antichi, sontuosi tessuti, preziosi merletti e ricami.